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Alle origini del garum

Se possiamo tranquillamente affermare che la cucina romana ha reso celebre il garum, dobbiamo pur dire che questa salsa non è un’invenzione dei Romani. L’immediata associazione del garum alla cucina romana la dobbiamo soprattutto ad Apicio, noto personaggio citato dagli autori latini come grande amatore dei banchetti e di elaborati manicaretti, e sotto il cui nome ci è giunta una preziosa compilazione di ricette in dieci libri. Infatti Apicio nel suo ampio ricettario propone l’uso del garum (o liquamen, come lui stesso lo chiama) come insaporitore di moltissimi piatti: dalla carne al pesce, dalla verdura alla frutta! Un uso che a noi moderni palati pare più un disgustoso abuso!

Il garum fu in epoca storica un condimento usato nella cucina greca, e in generale nella cucina dei popoli mediterranei ellenizzati. Le prime testimonianze del suo impiego lo troviamo nelle fonti letterarie greche. Ve ne è fugace menzione nelle opere frammentarie a noi giunte dei poeti comici Cratino e Ferecrate, vissuti nel V secolo a.C. Tra i tragici, Eschilo (1) ci informa che questo si otteneva dai pesci, mentre Sofocle nei frammenti del Trittolemo (2) sembra aggiungere notizie a quanto aveva detto Eschilo, definendo il garum ταριχηρός, ovvero salato. E ancora Platone (3) qualifica ulteriormente questa salsa con l’aggettivo σαπρός, ovvero putrido.

Tuttavia, per avere notizie più certe e dettagliate, bisogna rifarci a quanto ci dice Plinio il Vecchio. Questi (4) nel libro XXXI della sua Naturalis Historia afferma:

“Un altro tipo di liquido pregiato, che chiamarono garon, è fatto con intestini di pesci e altre parti che di norma si dovrebbero buttare via, macerati nel sale, sicché quello diventi la feccia di cose in putrefazione. Questo garum era una volta ottenuto da un pesce, che i Greci chiamavano γάρος, notando che bruciandone la testa con un suffumigio, si estraeva la placenta…”

Apprendiamo così che questo liquamen era appunto un liquor, un liquido, che sebbene fatto con le parti di scarto del pesce, quali intestini, branchie e sangue macerati nel sale, era assai pregiato. Non è correttissimo da parte di Plinio parlare di putrefazione, ma si tratta piuttosto di un’auto-digestione del pesce operata dagli enzimi proteolitici presenti nelle interiora stesse (ma questo il buon Plinio non poteva saperlo!). Altra importante notizia che ci viene fornita in questo passo è che i Greci furono i primi a produrre il garum, così chiamato perché prodotto con un piccolo pesce detto garos, che però già Plinio non sa identificare. Conferma quanto dice Plinio Isidoro di Siviglia, nella sua opera in venti libri di carattere enciclopedico, le Etymologiae (5) :

“Il garum è un liquido salato di pesce, che un tempo era fatto con un pesce che i Greci chiamavano garon, e per quanto ora venga prodotto con molti altri tipi di pesce, tuttavia conserva l’antico nome dal quale prese inizio. Il succo è chiamato così perché dei pesciolini, sciolti nella salamoia, colano il proprio umore”

E’ da rilevare però che quanto scritto nelle Etymologiae circa l’origine del nome della nostra salsa con ogni probabilità deriva direttamente da quanto afferma Plinio, autore che Isidoro in alcuni passi della sua opera segue alla parola.

Note

  1. Eschilo, fr. 211: …καὶ τὸν ἰχθύων γάρον
  2. Sofocle, fr 606: …τοῦ ταριχηροῦ γάρου
  3. Platone, fr 656K: …ἐν σαπρῷ γάρῳ
  4. Plinio, Naturalis Historia, XXXI, 95: Aliud etiamnum liquoris exquisiti genus, quod garon vocavere, intestinis piscium caeterisque quae abicienda essent, sale maceratis, ut sit illa putrescentium sanies. Hoc olim conficiebatur ex pisce, quem Graeci Garon vocabant: capite eius usto, suffitu extrahi secundas monstrantes.
  5. Isidoro, Etymologiae, XX, 19: Garum est liquor piscium salsus, qui olim conficiebatur ex pisce quem Graeci GARON vocabant; et quamvis nunc ex infinito genere piscium fiat, nomen tamen pristinum retinet a quo initium sumpsit. Liquamen dictum eo quod soluti in salsamento pisciculi eundem humorem liquant.
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