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Lectio prima pars prima – L’alfabeto latino

Dunque allievi cari, eccoci qua! Avete sete di conoscenza? La estinguerete! Fame di sapere? Vi sazierete! Bisogno di soldi? Ehm..ecco….mumble….dove diavolo ho messo la penna?…. Assistente!

Eccomi.

Qual era l’argomento della lectio odierna?

Mi sembra l’alfabeto, eccellenza!

Atticus I il Vegliardo

Ah, già, l’alfabeto. Dunque! Passami i papiri del tristrisavolo Atticus I il vegliardo.

Questi qui?

Grazie caro, proprio loro. Leggiamo: Afferma il tristrisavolo che per imparare una lingua non si può prescindere dal conoscerne il suo alfabeto ovverosia quell’insieme di segni che danno origine alle parole. Affrontarne lo studio senza conoscere bene il significato dei suoi simboli può condurre a terribili complicazioni.

Ma davvero?

Parascandola - 10000 modi di sbagliare una traduzione - Ristampa Anastatica

Certamente. Nel suo famosissimo trattato Diecimila modi di sbagliare una traduzione, il Parascandola cita l’esempio di tale “Rin bam-bi” monaco giapponese del IV secolo il quale, giunto dall’oriente con la ferma volontà di imparare il latino, congetturò che i segni del nostro alfabeto fossero simili a quelli del suo e iniziò ad attribuire un significato ad ogni lettera secondo quanto era abituato a fare a casa sua. Chiamò la A – “Piccolo tetto a punta che copre la mia casa” , la B- “Grassa signora” e andò avanti così fino alla Z che battezzò – “Colui che cammina pieno di sakè”.

E che successe poi?

Morì di fame alla ricerca disperata della parola “Prosciutto”.

Santo cielo!

Tornando a noi, e per evitare problemi analoghi, cercheremo quindi di stabilire per prima cosa da dove viene e che tipo di alfabeto è quello latino.

Bene.

Pare che esso sia nato da quello Etrusco, nato a sua volta da quello Greco a sua volta derivato dall’incrocio del Fenicio con il Miceneo e la Lineare b di Creta.

E che è? La catena di Sant’Antonio!

Silenzio in aula. Quando i greci, intelligenti com’erano, si accorsero che i fenici avevano inventato un alfabeto sillabico che, con soli 22 simboli, permetteva loro di fare di tutto, lo adottarono immediatamente. L’alfabeto fenicio usava un insieme di 22 consonanti e, quando venne adottato dai greci, dovette integrare al suo interno la rappresentazione delle vocali, necessarie alle lingue indoeuropee. Alcuni simboli dell’alfabeto che rappresentavano consonanti non usate vennero perciò utilizzati per rappresentare le vocali mancanti. Successivamente i Greci estesero attraverso i traffici il loro alfabeto in tutto il mediterraneo; gli Etruschi lo adattarono al loro e i latini lo acquisirono dagli Etruschi. Durante questo processo alcuni simboli scomparvero, altri nacquero, altri subirono una mutazione, e il tutto si trasformò lentamente nell’insieme dei 24 segni che formano l’alfabeto latino odierno che tutti conosciamo. Questo:

A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T U V X Y Z

In origine non tutte le lettere esistevano. Alcune sono entrate a far parte dell’alfabeto latino in tempi diversi. Per esempio la G sembra che sia stata aggiunta circa nel terzo secolo inventata da un certo liberto di nome Spurio Carvilio, fondatore della prima scuola di Roma, modificando la lettera C. La lettera Z (pronunciata in origine come una S) si trasformò in R e scomparve per poi venir reintrodotta nel I secolo a. C. assieme alla Y, allo scopo di includere nella lingua latina le parole greche che le usavano, e via dicendo. La situazione era così intricata che ad oggi non c’è ancora accordo sul numero delle lettere che formavano l’alfabeto latino classico. Chi dice 20, chi 23.

Bella confusione!

I Romani stessi si accorsero del problema e cercarono di porvi rimedio. Claudio tentò durante il suo regno di attuare una riforma dell’alfabeto, ma il suo trattato è andato perduto e ne è rimasta traccia solo nell’epigrafia dell’epoca. Fortunatamente questo entrare, scomparire e modificarsi di simboli, se da un lato ha rappresentato una complicazione, dall’altro ha costituito una vera manna per archeologi e studiosi perché ha permesso loro, attraverso l’analisi dei simboli e della loro presenza nei testi, di risalire con buona approssimazione al periodo nel quale furono scritti.

E qual è il più antico documento scritto in latino?

A me il papiro del trisavolo. Mumble…ecco… pare che il più antico testo scritto in latino sia stato inciso su un cippo di pietra, ormai perduto, da certo “Manfanus”, il quale, esasperato dalle scorribande che Greci ed Etruschi, guerreggiando fra loro con i carri, compivano quotidianamente sul suo campicello di cicoria, scolpì un avviso che suonava all’incirca:

Il primo che mi attraversa ancora il campo
gli faccio un c… (qui la tradizione è discorde) come una capanna!

Anatema invero terribile se si pensa alle dimensioni non proprio minuscole delle capanne di allora, come attestato da recenti scavi sul Palatino. E per essere certo che chiunque leggesse bene il messaggio, incise il testo scrivendo alternativamente una riga verso destra e la sottostante verso sinistra in modo che quelli, rincorrendosi in un senso e poi nell’altro, potessero comprendere perfettamente a quale terribile rischio si stavano esponendo. Dai gesti espliciti e dall’espressione non proprio accattivante dell’autore tale modo di scrivere prese da allora il nome, come sappiamo, di “bustrofedico”.

Senti, Atticus! A me questo tristrisavolo con le sue “tradizioni” non mi convince mica tanto.

Ah incredulo! Vorresti mettere in dubbio la veridicità delle mie fonti? L’autorità del mio avo?

Lapis Niger

Ma non c’è qualcosa di più circostanziato? Qualcosa che sia possibile toccare con mano?

C’è, c’è non ti scaldare. Ecco qua. A detta di scienziati, storici e archeologi (tze) il più antico esempio di scrittura latina esistente pare sia rappresentato dal cosidetto “Lapis niger”, cippo frammentario presente nel foro romano, databile al VI secolo a.C. circa il cui testo è senza dubbio latino ma di interpretazione non certa. Anch’esso è scritto secondo la tecnica “bustrofedica”! Potrei tentarne una mia interpretazione personale, che ne dici?

Per l’amor del cielo, lascia perdere e vai avanti.

Va bene, va bene… dove eravamo rimasti? Ah sì. Seguono frammenti di testi religiosi antichi tramandati nel tempo dai collegi sacerdotali, Carmen Saliare, Carmen Arvale, scritti in un latino così arcaico da risultare incomprensibile perfino ai Romani dell’età classica. (“Saliorum carmina uix sacerdotibus suis satis intellecta“, chiosava il buon Quintiliano – Institutio Oratoria 1, 6, 40) che più o meno significa: “i testi dei canti dei Salii sono a malapena comprensibili ai sacerdoti stessi.”

Bisognerà attendere le Dodici Tavole (un insieme di leggi del V secolo esposte nel Foro fino al sacco di Roma ad opera dei Galli nel 390 a. C.) per trovare un documento che si avvicina come forma al latino che conosciamo. Queste tavole inchiodate nel foro scomparvero purtroppo con il sacco di Roma ma ne conosciamo in parte il contenuto attraverso testimonianze presenti nella letteratura latina posteriore. Fra l’altro pare che esse, in origine, fossero usate anche come veri e propri testi di insegnamento.

Ma guarda!

Tavole Eugubine

Per terminare fra i documenti più antichi citiamo le dodici tavole eugubine, sette tavole di bronzo, di cui cinque scritte su due facce, trovate a Gubbio e conservate nel locale museo civico. I testi del II e del I secolo a.C. scritti parte in alfabeto etrusco (200-120 a. C.) e parte in alfabeto latino (150-70 a. C.) descrivono, sembra, riti religiosi.

Tutti esempi di difficile interpretazione quindi.

Sì, e come se non bastasse, scritti per lo più senza regole precise. Interpunzione, separazione delle parole fra loro, andare a capo all’inizio di un nuovo periodo rappresentavano scelte che potevano essere ignorate tranquillamente dallo scrivente. Vere regole grammaticali vennero introdotte solo posteriormente alla prima età imperiale, e ciò giustifica almeno in parte le indiscrezioni di Svetonio secondo le quali anche Augusto non scriveva correttamente.

Perbacco! Niente regole di scrittura! Chissà allora come lo parlavano questo latino i Romani!

Momento socio. Prima facciamo riposare gli alunni. Ricreazione fanciulli. Mangiatevi la merendina (miss Black Queen, ho detto merendina, non una chianina da 4 chilogrammi) e sgranchitevi le gambe, ché fra poco si ricomincia.

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