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Lectio prima pars secunda – La pronuncia del latino

Riprendiamo dunque la nostra lezione dopo l’intervallo. Seduti prego… Giovanottiiiii. E allora! Seduti ho detto. (Ma… e che sono questi rimasugli di cibo sulla mia cattedra? … Lardo pancettato? Melanzane sott’olio?? Birra di puro malto???? Ma che gli mettono nella cartella a questi ragazzi le loro mamme?)

Si ricomincia?

(…e io che ci ho l’uovino con la sorpresa!)

Allora Atticus. Abbiamo capito più o meno come lo scrivevano questo latino, ma come lo parlavano? Eh? Come lo parlavano?

Antica edizione del sillabario del Caldarrosta

Ah si! La pronuncia del latino!…… Ardua questione! Al tempo non esistevano registratori e quindi dobbiamo basarci sull’opinione dei dotti. Potremmo iniziare dai documenti del Caldarrosta.

E chi era costui?

Come chi era? Girolamo Farfuglia detto il Caldarrosta, allievo prediletto del “Cantonata” e famosissimo glottologo. Massimo esperto di sillabazione dell’Accademia del Fischio di Bologna.

Mai sentito nominare!

Pare che “Caldarrosta” fosse un soprannome affibbiatogli per la sua abitudine di allenare lingua e respirazione col cacciarsi in bocca una castagna appena estratta dalla brace che palleggiava poi con rara maestria nel cavo orale, raffreddandola con rapide inspirazioni e espirazioni senza toccarla con le mani, finché questa non avesse raggiunto la temperatura ambiente. I contemporanei affermano che, a seguito di questi esercizi, fosse in grado di recitare un intero canto dell’Odissea senza riprendere fiato. Espertissimo nell’uso dell’epiglottide perfezionò il metodo della boccuccia a cuore nella pronuncia della u francese. Grande virtuoso dello sciacquo e del gargarismo divenne celebre per il modo con cui arrotava la erre. Purtroppo morì ancora giovane soffocato da una labiodentale-nasale che gli era andata di traverso perchè si era impigliata in una fricativa-dorsopalatale-velare-sorda.

Senti, ma non sarà materia un po’ troppo complicata per un corso di latino per neofiti?

Hai ragione, non ci avevo pensato! Vuol dire che allora procederò a braccio affidandomi alle mie ben note doti di divulgatore.

Procedi come ti pare! Basta che tu mi dica come parlavano latino questi romani.

Come lo parlavano come lo parlavano! Semplicissimo caro, come lo scrivevano.

Non ci credo. Facci un esempio.

Immediatamente. Prendiamo una parola latina a caso: Aequatio, che vuol dire “uguaglianza”. Come la pronunceresti? Sentiamo!

E che ne so.

Aequatio”, semplice no?

Ma qui dice che si dovrebbe pronunciare “Equazio”.

Qui dove? Che stai leggendo? Fa’ vedere!….. ma sono gli appunti dello zio prete!

Sì, e lui non dice che il latino si pronuncia come si scrive ma in modo tutto diverso.

Afferma che ae e oe si leggono “e”, che i gruppi ti e zi seguiti da vocale si pronunciano “zi” e che il ph si legge “f“. E fa pure degli esempi: Caesar che si pronuncia “Cesar”, poena che si pronuncia “pena“, philosophus che si legge “filosofus“; di conseguenza, stando a quello che scrive, aequatio si pronuncia “equazio”. Come volevasi dimostrare.

Ma che dimostrare e dimostrare! Lo zio prete usava un modo di pronunciare il latino che andava bene per le sue giaculatorie, non crederai davvero che i romani lo pronunciassero come dice lui!?

E chi me lo garantisce che hai ragione?

Ascolta folle. Ma te lo immagini quel pezzo di marcantonio di Brenno che dinanzi alla bilancia che pesa l’oro del riscatto di Roma, nel vedere che gli stanno facendo la tara sul peso dice agli attoniti senatori “Ve’ victis” agitando la manina a paletta come si fa con i bambini discoli? Credi che gli avrebbero dato retta? Gli avrebbero risposto con un sorrisetto e avrebbero continuato a fare di testa loro. Pensa invece a quanto è diverso un Vae detto con un vocione profondo e minaccioso magari strascicando la a e la e. C’è da farsela sotto dalla paura.

E questi, secondo te, sarebbero gli argomenti che dovrebbero convincermi che i romani pronunciavano ae come si scrive?

E va bene miscredente. Lasciamo parlare direttamente loro allora. Tieni: Apri questo libro e prendi questo verso; è il primo verso del De Rerum Natura di Lucrezio.

Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas

Lascia perdere il significato; (se proprio lo vuoi sapere c’è scritto – “Genitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dèi”, e si parla di Venere) e leggi le prime due parole in un modo e nell’altro. Scoprirai che differenza fa leggere “aeneadum” invece che “eneadum”. “Aeneadum” è come un passo di danza che ti introduce alla lettura del verso; “eneadum ” è un inciampo nello scalino prima ancora di iniziare.

Beh, in effetti con “ae” suona meglio.

Vuoi un altro esempio? Varrone nel suo trattato De lingua latina scrisse che storpiare Maesium in Mesium è da buzzurri. Ne vuoi sapere più di Varrone? Ovvìa!

Ma allora perché lo zio prete usava quello strano modo di parlare?

Perché perché! Ma perché, come la scuola, è rimasto fermo ai tempi del Concilio di Tours (813 d.C.) dove la Chiesa, per rendere la pronuncia della lingua latina più comprensibile al popolino, ne modificò la pronuncia secondo gli usi del volgare di allora.

Lascia quindi, o mio fido, tale consuetudine al villico e all’asceta e abbandonati insieme a me alla aulica pronuncia di Cesare e di Cicerone.

Allora, se accettassi la tua tesi sulle regole della pronuncia, la lezione sarebbe finita qui?

Non proprio piccolo illetterato. Oltre alla ae, che si legge “ae“, i latini leggevano pure la V come una “U“.

E questo chi te lo ha detto?

Beh, lo si può evincere dalla iscrizioni marmoree giunte fino a noi, dove troviamo scritto AVGVSTVS per esempio. C’è pure una testimonianza di Cicerone nel suo De Divinatione (II 84) che avalla questa tesi. Stai a sentire.

Narra Cicerone che Crasso, in procinto di imbarcarsi da Brindisi per l’oriente, udì il grido di un venditore di fichi che urlava “Cauneas, cauneas” (“fichi di Cauno”). Gli sembrò che la voce dicesse “Cave ne eas, cave ne eas” (“Guardati dall’andare!”) e, superstizioso come tutti i Romani, ciò gli apparve come un brutto presagio. Da qui la congettura che cave ne eas si pronunciasse “Caue ne eas”.

Allora Brenno diceva “Uae uictis!

Mumble…… parrebbe…… comunque sempre meglio di “Vè!”

E vada per la V che si legge “U”. Basta?

No. La C e la G venivano pronunciate dure, rispettivamente come “k” e “gh”. Quindi Caesar veniva pronunciato “Kaesar” (da cui deriva Kaiser come tutti sanno) e magnum si pronunciava “maghnum” come ho letto da qualche parte. La Y si pronunciava come una u “francese” (mi raccomando la boccuccia a cuore) e la h che indicava aspirazione si pronunciava solo se all’inizio di parola, altrimenti veniva ignorata.

Allora Brenno diceva “Uae uiktis”.

Ma la fai finita con questo Brenno! Incavolato com’era chissà cosa gli sarà uscito di bocca.

Kapito. Finito?

Quasi. Manca solo da stabilire dove i romani mettevano l’accento. E qui fortunatamente possiamo ricorrere a Quintiliano, il quale dice testualmente nella sua Institutio oratoria (1-30):

“In ogni parola l’accento acuto deve cadere su una delle ultime tre sillabe, siano queste le sole o le ultime della stessa parola, e di queste l’acuta è la penultima o la terzultima. Delle tre sillabe di cui parlo, pertanto, quella di mezzo, se è lunga, sarà acuta o circonflessa: se è breve avrà sempre l’accento grave e perciò renderà acuta la sillaba precedente, cioè la terzultima. In ogni parola una sillaba dall’accento acuto deve esserci comunque, mai però più di una, nè mai può essere l’ultima, e perciò nei bisillabi è sempre la prima. Oltre a ciò la medesima parola non potrà mai avere l’accento acuto e il circonflesso: perciò né l’uno né l’altro staranno mai sull’ultima sillaba.”

Bello vero?

Ci ho capito il giusto.

Anche io.

(Come anche io! Ma non sei tu l’insegnante di latino!)

(Insegnante… insegnante…via, lo sai anche tu come vanno queste cose… anzi, lo sai che faccio? Vado a guardare cosa hanno scritto quegli altri nel corso di latino ufficiale. Ah, mi raccomando! Acqua in bocca…)

…devo uscire un attimo figlioli; buoni che torno subito.

(Maria! Mi sorge un terribile sospetto… ) fermi ragazzi, per carità, state buoni, non fate confusione (Accidenti a me e a quel giorno che…)

Eccomi di ritorno, anf. Ho fatto presto eh!

Allora?

Semplicissimo. Il tutto si può condensare in tre semplici regolette:

Visto? Problema risolto.

Scusa ma a me chi me lo dice se una sillaba è lunga o breve?

Oibò! Ecco, beh, (…mumble… la elle è lunga, si vede a occhio, e poi… insomma, anche la ti mi sembra lunghina… invece la e, piccina com’è, mi parrebbe… insomma…… forse…… e non lo so mica!)

(Come non lo sai!!)

Boh

(Ma inventa qualcosa per l’amor di Dio)

(E’ una parola! Fammici pensare un momentino!…)

(Ma che pensare e pensare, ma ti rendi conto che ci osservano tutti?)

( E stai calmo accidenti; non è mica facile! mumble mumble…)

(Ti vuoi decidere?)

(…aspetta….. aspetta…… aa…. ahhh… ci sono!)

Allora cari alunni, facciamo un giochino. Chi di voi mi sa dire come si fa a distinguere fra sillabe lunghe e sillabe brevi in latino? Chi me lo dice si prende un bel dieci.

(Questo qua mi farà venire un infarto prima o poi!) Forza ragazzi. Chi glielo dice? Ci metto anche dieci euro di mio…)

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