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  • #11798
    imported_Peppone
    Partecipante

    Salve Amici, vorrei chiedervi cosa ne pensate di questa lettera sfogo di una insegnante precaria milanese apparsa su Repubblica.

    Io, prof precaria e delusa vi dico
    che imparare il latino non serve
    Chi come me si è spaccato la schiena su versioni e poesie, ora si ritrova con un pugno d’aria
    Tutti giorni questo Paese si burla di me e del mio lavorare per guadagnare 1.250 euro al mese
    di OLGA RAVELLI*

    Diciassette febbraio, giovedì, primo pomeriggio. Appena tornata da scuola. Mi chiedo spesso se ai giorni nostri valga o no la pena di insegnare la letteratura e, nel mio caso, il latino. Per me come docente, in quanto precaria e in quanto docente di lettere, la risposta è no. Alla luce della mia esperienza personale posso dire che il latino, la letteratura e la filosofia non servono a nulla.

    Togliete queste materie dalla scuola, eviterete di far perdere tempo a quei pochi che passano i loro pomeriggi a spaccarsi la schiena su versioni, poesie e filosofi anziché fare altro di più divertente. Io non me la sento più di dire ai miei studenti di sacrificare ore di studio per il latino. L’ho fatto io, non fatelo voi ragazzi. Altrimenti farete la mia fine. Vi ritrovereste con un pugno d’aria, di parole che ormai oggi non hanno più senso per nessuno.

    Pro patria mori… cantava il poeta. Ma chi vuole oggi, non dico morire, ma anche solo sacrificarsi per la patria? E cosa significa patria oggi? Io per prima sorrido di fronte a questo concetto astratto e lontano. E fallace, soprattutto. Ingannatore. Io non ho nessuna voglia di sacrificarmi per la terra dei padri, questa terra che mi ha preso in giro, che continua a prendermi in giro giorno dopo giorno, visto che un lavoro stabile non me lo sa dare, e nemmeno uno stipendio che gratifichi i sacrifici che ho fatto da ragazza studiando.

    Tutti i giorni questa patria si burla di me, del mio lavorare per 1.250 euro al mese (se sono fortunata e ho la supplenza a tempo pieno, cosa che non accade sempre). E già, devo pure evitare di lamentarmi troppo, perché io sono tra i fortunati precari del Nord che almeno una supplenzina qua e là la beccano, magari a metà novembre, ma tanto con la disoccupazione si campa, precari a non far niente alla soglia dei 40 anni. Pro patria mori… bisogna essere fessi… E io sento invece di morire dentro di me ogni giorno di più, di non crederci ogni giorno di più, ogni mattina quando entro a scuola non vedo l’ora di uscirne e di fare altro, perché non sopporto più di dover prendere in giro me stessa e gli studenti.

    Non dovete imparare a usare il cervello, perché vivrete male, sempre critici verso tutto, poco furbi, poco scaltri, poco sfrontati, sempre onesti, sempre fessi e sempre più soli. Come mi sento io. Onesta e fessa, e sola. Debole, sempre senza soldi, sensibile alle belle parole e alle romanticherie. E poi stanca. Stanca di tutto. Stanca di questa maledetta terra dei padri, che quando sono lontana mi manca terribilmente con tutti i suoi difetti. Arrabbiarsi non serve. Io personalmente non guardo nemmeno più il telegiornale. La politica italiana mi fa, nel migliore dei casi, sorridere. Cosa volete che insegni ai ragazzi? Ditemelo, io non lo so più.
    (* insegnante precaria in un liceo dell’hinterland milanese)

    Vi dirò: Io non ne condivido nè lo stile, nè i contenuti.
    Certo, leggendo le affermazioni di questa insegnante si capisce che il taglio del suo scritto è volutamente provocatorio, ma tutt’altro che efficace. Non capisco questo nostro paese in che cosa la burla, non capisco quale sacrificio richieda questa terra dei padri, cui l’autrice dichiara di non volersi sacrificare (in cosa consiste tale sacrificio?) ma di amare allo stesso tempo.
    Dichiara di non aver nulla da insegnare perchè la politica la fa sorridere, che arrabbiarsi non serve. Premettendo che l’atteggiamento giusto sarebbe l’indignazione di fronte a ciò che ci disgusta, mi domando se proprio serve una laurea per avere gli argomenti e proporre ai propri studenti modelli diversi da quelli proposti oggi nella politica, nel lavoro, nella societa. Mi chiedo cosa abbia capito dei classici che ha tradotto nei suoi pomeriggi da studente.
    A mio avviso una lettera piagnona, poco propositiva, incline al luogo comune.

    #14576
    Gabriele
    Partecipante

    Il “Paese” si burla di lei? E se ne burla perché non ha il lavoro che vorrebbe…
    Andiamo bene, addossiamo la colpa agli enti astratti, che nessuno difende poiché non c’è spirito civico, per vigliaccheria e non attacca chi invece potrebbe essere “colpevole”, ammesso che si possa parlare di colpevolezza.

    Cominci a parlare di dirigenti, professoroni, baroni, e chi più ne ha più ne metta, di un sistema vigente in Italia sì, ma non certo colpa dell’Italia, che anzi ne è danneggiata! Viva l’Italia, che non ha alcuna colpa, anzi la nostra nazione è più danneggiata dei singoli di fronte al malaffare e le caste di intoccabili.

    #14577
    Falbala
    Partecipante

    Non saprei… in parte le sensazioni provate durante la lettura coincidono con le tue, Peppone, però al tempo stesso il rifiuto che ho provato verso questa lettera mi sembra determinato dal bisogno di sentire proposte ottimiste; in più mi sono chiesta se la mia inclinazione all’ottimismo non dipenda dal fatto che una sicurezza io ce l’ho, un lavoro continuo pure e che, alla soglia dei quaranta come lei, ho per questo potuto costruire una casa, un matrimonio, una camera per il bimbo che non arriva ma che può arrivare (ieri ho letto con stupore su un quotidiano della zona “Costretta ad abortire dalla crisi”). Infine mi chiedo se il mio bisogno di dimostrare che il latino serve a qualcosa non dipenda dalla necessità di sentirmi utile, di non sentirmi inutile.
    Detto questo, mi inalbero sempre quando sento parlare dell’inutilità del latino. La novità stavolta è che nel rifiuto il latino viene accoppiato alla letteratura e alla filosofia, cioè, mi sembra di capire, alle materie che non hanno un’applicazione pratica. A parte il fatto che l’utilità pratica può essere trovata in ogni materia (la filosofia della scienza pone le basi filosofiche che rendono sensata la ricerca scientifica: uno scienziato senza filosofia della scienza sarebbe come un corridore senza scarpe; il latino permette conoscenze etimologiche che a loro volta svincolano spesso dal ricorso a un vocabolario in caso di termini sconosciuti ecc.) e l’inutilità parimodo può essere trovata in ogni disciplina (si riconosce comunemente l’utilità della matematica, eppure dopo il Liceo non mi è mai capitato di applicare le equazioni, i limiti o la geometria analitica a qualche problema pratico, direi che dopo le Elementari e a parte le proporzioni tutti i programmi successivi di matematica potrebbero essere liquidati come “inutili”), credo che si debba mettere in discussione il concetto di utilità dello studio. Utilità immediatamente pratica, intendo. Ho appena finito di leggere Lo zen e l’arte del tiro con l’arco: credo che chi l’abbia letto capisca al volo che cosa intendo dire. Nel campo dello studio e dell’astrazione l’approfondimento è di per sè utile, la comprensione, anche se non specificamente direzionata, è sempre portatrice di senso e ricca di ricadute positive, come un sasso gettato nell’acqua che diffonda la sua energia attorno a sè, in una serie di rimandi e rispondenze interne che si può e si deve tenere presente, ma che si riesce a cogliere solo a patto di abbandonare l’impostazione strettamente utilitaristica.

    #14578
    Randall
    Partecipante

    Esiste un effettivo problema di meritocrazia ed una mancanza di prospettive nel nostro paese (da circa 15 anni aggiungerei).

    Ciononostante la sua mail mi sembra eccessiva. Non é vero che solo i pubblici se la passano male, conosco personalmente imprenditori che stanno alla canna del gas.

    La cultura dovrebbe essere poi in primis un aiuto a noi stessi. In questo il latino é tanto utile quanto qualunque altra branca del sapere. Semmai il grande problema del nostro paese (la lista é così lunga che ormai ha passato la dogana da Roma a Ventimiglia) é la mancanza di concertazione tra Università e mondo del lavoro. Continuiamo a sfornare laureati in modo casuale, spesso in settori già sovraffollati. Sebbene l’Università sia un modo per acquisire una cultura specifica in un determinato settore, sarebbe bene coordinare il numero di laureati in qualcosa con gli effettivi sbocchi di lavoro in quel settore, altrimenti produciamo solo laureati precari e frustrati.

    #14579
    imported_Atticus
    Partecipante

    Credo che questa lettera sia stata scritta in un momento di nero sconforto dovuto ad uno stato d’animo esacerbato dalle difficoltà economiche e dalla frustrazione di una posizione precaria che non accenna a stabilizzarsi, quindi in modo volutamente provocatorio.

    Se così non fosse, allora direi che la scrivente ha sbagliato mestiere e che buona parte della sua frustrazione deriva non solo dalle succitate difficoltà economiche ma anche da una sostanziale mancanza di amore per le materie che ha studiato e che dovrebbe insegnare agli altri. Non sarebbe il primo nè l’ultimo caso. Professori ce ne sono tanti, insegnanti pochi.

    Sappiamo tutti che non si vive di solo pane e che i propri allievi non vanno illusi con la prospettiva di luminose carriere, ma neppure frustrati con equazioni dissennate che presuppongono la cultura un valore solo in funzione del futuro guadagno.

    Non ho mai insegnato (per fortuna delle istituzioni scolastiche 😀 ), ma sono stato anche io un allievo e ricordo benissimo la differenza che correva fra chi cercava di accenderci “l’anima” con l’amore per la propria materia e chi si limitava a farci studiare da pagina x a pagina y. Il rimando di Falbalà al libro “Lo Zen e il tiro con l’arco” è estremamente calzante :clap: . Lo si legga perchè merita , non fosse altro per la splendida disquisizione finale sull’arte della spada. Sono poche pagine, ma dense di significato sul rapporto allievo maestro.

    Erasmo da Rotterdam affermava che quando aveva un po’ di soldi in tasca acquistava libri, se rimaneva qualcosa del cibo, il vestiario per ultimo. Penso che abbia avuto degli splendidi insegnanti come maestri.

    #14580
    Gabriele
    Partecipante

    Esatto Atticus, esatto, ma anche la citazione da Erasmo ha colpito nel segno…
    Questa signora si lamenta, e come lei tante persone, certo, magari molti fanno bene. Ma perché non si rimboccano le mani? Io non ero contento del mio lavoro, stavo male, sono caduto in depressione per esso, ma sono riuscito a tirarmi fuori non rimpinzandomi di medicine ma tagliando di netto col mio passato, ed anche col mio stile di vita che avevo ormai acquisito da un paio d’anni, senza mettere in tasca quasi nulla poiché quando non sei felice hai la tristissima tendenza a spendere e spandere in cose assurde per sentire che quello che fai almeno ti è utile a qualcosa, e forse per provare quell’attimo di gioia che ti da comprare qualcosa che ti piace e possederla sul momento che prima non avevi.
    Da allora mi sono rimesso a studiare materie che mi avevano appassionato fin da bambino, e che avevo tralasciato sempre perché traviato dal vivere tutta la mia vita, fare i miei studi, non per accrescere la mia persona, il mio spirito, ma in funzione di questo dannato trovar lavoro. Ho rinunciato a tante cose, non faccio cene, rifiuto inviti a matrimoni (tranne parenti o amici strettissimi) perché non posso permettermi di fare il regalo senza grossi sacrifici, ovviamente viaggio solo con la fantasia, per fortuna quando ho cambiato macchina non ho fatto il “macchinone” che volevo, e ancora starei qui a pagare, più probabilmente avrei dovuto venderlo, e faccio tanti tanti sacrifici, ogni giorno. Non potrei neppure pensare a qualcosa come matrimonio e famiglia. Ogni giorno dedico un po’ del mio tempo allo studio del latino e del greco, conscio che non riuscirò mai a recuperare il gap che mi separa dai miei colleghi di università che hanno fatto il liceo classico da ragazzini… Sono ragazzini anche adesso per me, 10 anni di meno con i miei paricorso, ma la forbice si allarga ogni anno e un po’ inizia a pesare. Eppure non mi arrendo, tiro la cinghia, sono felice di scoprire cose straordinarie, scritte da uomini straordinari che hanno camminato su questa terra prima di me e l’hanno segnata, sono felice perché ho la prospettiva che un giorno potrei avere almeno l’occasione che ho perduto anni prima, e se non otterrò nulla pazienza, sono abituato ai lavoracci che oggi affronto comunque mio malgrado, ma solo in maniera funzionale e ogni volta non vedo l’ora termini il contratto appena ho raggiunto il tempo sufficiente per mettere da parte quanto mi serve. Io lotto ogni giorno per questa possibilità, gli unici investimenti che faccio a parte il cibo e le bollette sono i libri, la maggior parte usati, a volte restaurati da me, l’importante è che siano leggibili. Non è la cornice l’importante, ma il messaggio che ivi è contenuto, ma soprattutto che questo messaggio possa essere assimilato da me. Quindi queste lamentele mi fanno solo incaxxare… Forse non ha un vero amore per la materia, o se ce l’ha, come io non dubito tanti che sento anche all’univ. hanno, ritiene però che tutto sia dovuto dopo un percorso di studi, fatto più o meno bene…
    No, nulla è dovuto, e io accetto questa eventualità, ci rifletto ogni giorno, e l’unica risposta che mi so dare è impegnarmi ancora, ancora e ancora per limitare quanto più possibile le differenze che possano esserci tra me ed un mio collega, più giovane, con curriculum più accreditato del mio agli occhi di baroni e feudatari delle cattedre.

    Questo sì è il vero problema, non altri… Concorsi barzelletta per i dottorati, dove si sa benissimo chi deve entrare (con la borsa naturalmente) e chi no, poi se rimane qualche posto “libero”, si vedrà forse chi è il più bravo, o magari il più titolato, o anche il più simpatico.
    Lanciamo anatemi contro questi loschi personaggi, che sono tanti, insospettabili perlopiù, ormai omologati da uno status che nessuna riforma soft riuscirà a sradicare, come recentissimamente si è visto. Non so se ci siano ricette ad hoc, in ogni caso non spetta a me trovarle, mi limito ad indignarmi, con codesti, ma anche con quelli che sanno solo lamentarsi verso gli astrattismi, verso il fato, il destino, il governo ladro, o l’intera nazione, che secondo una visione della storia tipicamente di sinitra “non è mai come dovrebbe essere”, e chissà poi questo dovrebbe essere come sarà.

    #14581
    Randall
    Partecipante

    Sì, ma non possiamo mica pretendere che tutta la popolazione che si vuole fare una cultura debba avere lo slancio passionale di un Erasmo.

    Una società deve essere calibrata sullo status “medio” delle persone. Se una persona deve sostanzialmente barattare le proprie sicurezze e vivere un’ordalia di precariato se vuole avere una cultura superiore (a meno di non provenire da una sottile fascia della popolazione ricca che quindi ha altri canali di sostentamento) allora abbiamo un problema. E soprattutto non avremo più laureati se non in esiguissimo numero.

    #14582
    Gabriele
    Partecipante

    Secondo me sono i decenni delle vacche grasse (su questo termine vorrei fare una piccola riflessione tra parentesi: noi abbiamo perso la seconda guerra mondiale, abbiamo perduto territori, popolazione, ricchezze, orgoglio, ma per una serie di congiunture che sarebbe difficile e complesso spiegare, ciò che si è salvato della nazione ha potuto esprimere molte energie economiche, resta comunque il fatto che se avessimo vinto, o almeno fossimo rimasti neutrali, oggi saremmo immensamente più ricchi e rilevanti internazionalmente, ma la storia è storia e non si fa con i se, tuttavia non dimentichiamolo mai che cosa saremmo oggi se avessimo ancora Fiume e Zara, e forse anche Nizza almeno stando al carteggio Churchill-Mussolini) che hanno comportato una visione distorta delle cose.
    Chi si laurea, non ha automaticamente diritto ad un lavoro consequenziale ai propri studi, togliamocelo dalla mente. La gente deve anche essere umile, nessuno poi la obbliga a fare lavori sgraditi per sempre. Io ho fatto lavori umilissimi come ho accennato e a volte sgradevoli, eppure credo di avere a proposito di media una cultura “mediamente” superiore a quella dei colleghi con cui ho avuto a che fare in questi lavori, o quanto meno diversa. Il fatto è che la gente in generale vuole realizzarsi sentimentalmente, e quindi è poi costretta a lavorare, solo che poi deve accontentarsi a fare quello che trova, se non trova quello che vuole. Non può lasciare il lavoro per dedicarsi a trovare quello che vuole, in genere. Posso portare testimonianza che se non hai famiglia, se non hai un mutuo, anche se uno vivesse da solo senza appoggi esterne (ovviamente in una casa di proprietà o in affitto popolare è chiaro, se devi pagare 500-1000 euro al mese tanto vale fare un mutuo ma siamo daccapo, e qui effettivamente esiste un problema casa), te la cavi tranquillamente lavorando 4 mesi all’anno facendo sacrifici naturalmente. Se poi ne riesci a lavorare 6, hai anche diritto per gli altri sei che non lavori al sussudio di disoccupazione e sei a cavallo. Mi rendo conto che un lavoro, anche umilissimo, non si trova facilissimamente, ma è chiaro che se uno non si “abbassa” anche a fare lavori da operaio, magazziniere, pulitore, ecc. non lo troverà mai.
    Sarebbe un bel problema per i nostri governanti se molta gente rinunciasse a formare famiglie, con ricadute enormi sull’economia, poiché la gente spenderebbe fiumi di denaro in meno, e lavorerebbe anche molto meno, allora vedresti come si cercherebbero soluzioni, forse anche coercitive, non è da escludersi.

    La selezione in ogni caso non deve essere a monte, bloccando gli accessi alle facoltà, ma sarà poi, tanti si ritireranno durante lo studio, quelli che lo porteranno a termine senza eccellere difficilmente troveranno una sistemazione adeguata, e non dovrebbero sentirsi defraudati, io mi sentirei defraudato se ci fosse qualche professore, come Traina fa nel suo Propedeutica al latino, che sostiene che le facoltà di lettere dovrebbero essere aperte solo a chi ha fatto il liceo classico. Oibò e perché mai? D’accordo, conosco le risposte di rito, tanto più se arrivano da persone che avendolo fatto, come il 90% degli utenti qui, non può capire che cosa significhi rendersi conto in età avanzata che si è sbagliato tutto un percorso. Ma parliamo di ragazzini, è possibile che per una scelta, solitamente pilolata, fatta a 13 anni quando si fa la preiscrizione ancora in terza media, poi si sia segnati a vita? Io non credo sia una cosa giusta, nonostante i pregiudizi di certi professoroni, e se il prezzo da pagare è che poi ci saranno tanti laureati insoddisfatti pazienza. Meglio un uomo colto in più che deve adattarsi a fare un lavoro manuale che un incolto il cui destino è stato pianificato dall’alto perché si riteneva non ci fosse bisogno di lui in un dato ambito di studi.

    Tra l’altro, mi voglio togliere un sassolino dalla scarpa prima di chiudere, questa cosa vorrei aggiungere è anche sessista, visto che ad oggi e da molti decenni, la stragrande maggioranza degli studenti liceali, così come nella facoltà di lettere, sono donne. Argomento spinoso questo lo so, perché sbraitare contro le discriminazioni femminili siamo tutti buoni e bravi, ma porre l’indice contro le evidenti prevaricazioni femminili quelle no, sono una sorta di “giusta rivincita” storica per così dire o non so come certi intellettualodi la interpretano, quanto alla gente comune per molti vale il pensiero che l’omo ha da laurà, a prescindere e la donna può dedicarsi a quello che vuole, non a caso le coppie sbilanciate di lei dottoressa in grammatica greca (faccio un esempio) e lui idraulico o cucitore di tomaie, siano in forte aumento.

    Quindi questa signora Ravelli non si lamenti troppo… se vuole possiamo fare a cambio, lei d’estate andrà a sollevare pacchi di generi alimentari in un deposito di rifornimento per supermercati, e io vado a fare il precario al suo posto.

    #14583
    Randall
    Partecipante

    Non é che ci abbia capito granché Gabriele, in tutta franchezza. E secondo me due o tre riflessioni (tipo quella storica) sono utili all’economia del discorso più o meno quanto una bicicletta dalle ruote quadrate ad un ciclista.
    Comunque mi interessa sviluppare questo punto:

    @Gabriele wrote:

    La selezione in ogni caso non deve essere a monte, bloccando gli accessi alle facoltà, ma sarà poi, tanti si ritireranno durante lo studio, quelli che lo porteranno a termine senza eccellere difficilmente troveranno una sistemazione adeguata, e non dovrebbero sentirsi defraudati …

    @Gabriele wrote:

    e se il prezzo da pagare è che poi ci saranno tanti laureati insoddisfatti pazienza. Meglio un uomo colto in più che deve adattarsi a fare un lavoro manuale che un incolto il cui destino è stato pianificato dall’alto perché si riteneva non ci fosse bisogno di lui in un dato ambito di studi.

    Il punto Gabriele é che noi _non_ ci possiamo permettere una simile perdita di risorse. Uno studente che butta 4-5 anni della sua vita, tra l’altro i più produttivi, sui vent’anni, e poi abbandona l’Università é un disastro.

    Primo perché uno studente costa un sacco di soldi allo stato, secondo perché l’euro speso per quello che si ritira non verrà usato per quello che lo avrebbe sfruttato meglio, terzo perché lo studente ciondolante tra i dipartimenti avrebbe potuto impiegare molto meglio il suo tempo iniziando un qualche tipo di carriera.

    Ma se noi sforniamo fuori corso, o, peggio, laureati che ci sono costati a livello sociale un sacco di soldi (100,000 euro a testa più o meno) e poi li mandiamo a lavorare in un call center, o peggio li facciamo emigrare facciamo la figura dei fessi all’ennesima potenza:

    1) Per aver speso inutilmente i soldi dello stato nel produrre un laureato o uno pseudo laureato (quello che si ritira)
    2) Per aver perso anni produttivi del suddetto individuo a fare una cosa che tanto poi non serve o non farà.
    3) Per aver poi prodotto un tizio su cui abbiamo investito dei soldi per imparare a fare una cosa che poi tanto non farà e ne farà invece un’altra per cui bastava una settimana di apprendistato invece che 4-5 anni di studi a tempo pieno.

    Morale della favola: e se invece considerassimo semplicemente i laureati come risorse? Quindi calibrate al mondo del lavoro? In questo modo il numero di persone in un certo settore sarebbe commisurato alle effettive prospettive di lavoro del settore medesimo. Quindi avremmo che i soldi che abbiamo speso per creare il laureato con competenze X probabilmente finirebbe a fare proprio X. Quindi la nostra spesa sociale sarebbe stata un investimento e non un allegro falò di soldi pubblici.

    Inoltre, il numero chiuso porterebbe esso stesso a far entrare solo i più motivati, in quanto i ciondolanti non riuscirebbero a passare i test perché non sufficientemente motivati.

    Infine, il numero chiuso non discrimina nessuno per età, percorso scolastico, sesso, religione, preferenze paninare e squadra del cuore. Chiunque può parteciparvi a qualunque età. Se uno fallisce un anno, ma é molto motivato, può ritentare l’anno prossimo. Nel frattempo cerca di entrare in una facoltà affine a quella preferita per portarsi avanti con alcuni esami che poi trasferirà nella facoltà preferita quando riuscirà ad entrarvi.

    Secondo me un po’ di sana concertazione mondo del lavoro-mondo accademico permetterebbe di ottimizzare alcuni aspetti e ridurre il numero di persone frustrate, che spesso non possono fare quello che vogliono non perché non ne siano all’altezza, ma perché semplicemente sono in una competizione agghiacciante.

    #14584
    Gabriele
    Partecipante

    Mi dispiace che tu non abbia capito, personalmente posso solo dirti che me ne infischio di non produrre per la società, se la società vuole “inserirmi” laddove io non voglio essere inserito, ma è una scelta personale come ho cercato di spiegare.
    Sono sicuro che la maggior parte della gente accetterebbe di buon grado il tuo discorso, purché non sia impositivo, perché io non sono disponibile, comunque per me ormai è andata comunque vada, spero anche le generazioni future abbiano le porte aperte e non se le ritrovino sprangate perché solo qualche sparuta elité -non si sa bene scelta in base a cosa, forse solo la fortuna di avere genitori che sapendo come funziona l’Italia ti inseriscono a forza in un liceo classico a 13 anni- avrebbe diritto a fare letteratura, storia, cultura umanistica.

    EDIT:
    Ah, comunque Traina faceva un discorso diverso, non di numero chiuso, ma di chiudere proprio gli accessi sulla base del percorso scolastico, è abbastanza vergognoso scritto poi in un testo utilizzatissimo proprio da universitari privi di latino scolastico. Oltre questo anche i test di ingresso sarebbero una barzelletta, chiaro che se metti declinazioni, coniugazioni e sintassi greche nell’accesso, di solito a settembre, per lettere classiche pensi abbia una minima speranza di superarlo uno che ti è uscito dall’istituto tecnico a luglio? Dai per favore, sarebbe una presa in giro, diciamo francamente che i non classicisti nelle facoltà di lettere non sono graditi, perché 1) fanno perdere tempo nella peggiore delle ipotesi; 2) nella migliore per quanto si applichino saranno sempre 10 gradini sotto a chi ha iniziato a 14 anni.
    Questi discorsi raramente si fanno, forse si potrebbe dire che Traina ha avuto coraggio, ma io sono contento se qualcuno li fa, perché è facile far notare come i latinisti e grecisti migliori siano stranieri, e all’estero solo pochissime scuole private fanno studiare queste materie già agli adolescenti…

    #14585
    imported_Sempronia
    Partecipante

    @Gabriele wrote:

    spero anche le generazioni future abbiano le porte aperte e non se le ritrovino sprangate perché solo qualche sparuta elité -non si sa bene scelta in base a cosa, forse solo la fortuna di avere genitori che sapendo come funziona l’Italia ti inseriscono a forza in un liceo classico a 13 anni- avrebbe diritto a fare letteratura, storia, cultura umanistica.

    E basta con questi vittimismi, caro Gabriele.
    Ti sei fatto un film nel quale i diplomati del liceo classico sono figli dell’elite di questo paese, che vogliono difendere a tutti i costi il proprio privilegio (ma quale?) impedendo alla plebaglia di avvicinarsi alla cultura umanistica.
    Ma chi ti ha mai impedito di coltivare la tua passione per la storia antica o per la papirologia (la prima cosa che mi viene in mente)? Se non ti basta coltivare questi interessi, ma vuoi a tutti i costi il sigillo di una laurea in lettere, non puoi pretendere che le regole d’accesso non valgano per te. Nè, tanto meno, puoi scaricare la tua insoddisfazione concludendo che lì sono tutti raccomandati con la puzza sotto il naso.

    @Gabriele wrote:

    Oltre questo anche i test di ingresso sarebbero una barzelletta, chiaro che se metti declinazioni, coniugazioni e sintassi greche nell’accesso, di solito a settembre, per lettere classiche pensi abbia una minima speranza di superarlo uno che ti è uscito dall’istituto tecnico a luglio?

    Quindi che facciamo? Per i test d’accesso a lettere proponiamo quesiti di ragioneria, tecnica bancaria e topografia? Uno studente che, nel corso dei cinque anni di istituto tecnico, si sia accorto di aver sbagliato indirizzo, a mio parere potrebbe fare solo una cosa, se è fortemente motivato: dedicare un anno sabbatico a rafforzare le proprie competenze in settori in cui è carente, perchè non se ne esce, una base minima è necessaria.

    @Gabriele wrote:

    diciamo francamente che i non classicisti nelle facoltà di lettere non sono graditi, perché 1) fanno perdere tempo nella peggiore delle ipotesi; 2) nella migliore per quanto si applichino saranno sempre 10 gradini sotto a chi ha iniziato a 14 anni.

    Che significa che non sono graditi? Quando ti iscrivi, se superi il test, vai a lezione o non ci vai, nessuno se ne frega; vai all’esame, il professore ti ascolta, ti promuove o ti boccia. Quale tempo ha perso?
    Quanto al secondo aspetto, non è un problema del professore, ma solo dell’allievo se non riesce a tenere il passo con chi ha una preparazione di base coerente con il corso di studi che sta seguendo.
    Non c’è nulla di diverso da quello che accade alle superiori, qualunque istituto superiore: chi ha fatto bene la scuola media, procede spedito, chi è uscito con uno stiracchiato 6 all’esame di terza media, si rompe le ossa. Che facciamo, abbassiamo l’asticella perché c’è chi non riesce a saltare 50 cm? Gli diciamo di stare lì fermo un giro e intanto di allenarsi, finché non riesca a saltare almeno 80 cm.
    L’Università mira alla specializzazione, non può ridursi ad un eterno corso integrativo delle competenze di base.

    @Gabriele wrote:

    è facile far notare come i latinisti e grecisti migliori siano stranieri, e all’estero solo pochissime scuole private fanno studiare queste materie già agli adolescenti…

    E dalli con questa storia! Nessuno nega che si possa diventare latinista o grecista anche da adulto, ma i passaggi non si possono saltare, neanche con Assimil. Ci vuole tempo.

    #14586
    Gabriele
    Partecipante

    Sempronia i quesiti di ingresso dovrebbero essere quesiti per verificare la capacità di ragionamento, non la qualità delle conoscenze. Negli stati uniti per entrare in una facoltà di fisica molto rinomata si chiedeva nientemeno che il numero degli accordatori di pianoforte nella città di Chicago. Ora, a meno che per puro caso non sai questo numero, come puoi dare la risposta? Semplice, per darla vanno tenute a mente alcune variabili, che tuttavia è possibile circoscrivere entro un ambito ristretto e ragionevole.
    Ora dimmi, quale capacità intellettiva puoi valutare chiedendo la coniugazione dell’aoristo I) na cosa facile tu dirai, eccerto… facilissima, ma anche volendo uno che è uscito dal liceo scientifico, non ti parlo della “plebaglia”, come può impararlo così bene? Semplice non può, e grazie al cielo questi test barzelletta che farebbero unicamente guadagnare qualche extra a professori e bidelli non ci sono.
    Da questa diversità di valutazione, puoi capire forse, perché in America la scienza (anche quella umana) viaggia spedita, ed in Italia l’unica cosa che si è capaci di fare è lagnarsi per non avere poltroncina e scrivania in un dipartimento.

    Il discorso su quello che voglio io è molto più complesso… Se potessi fare la vita del gentiluomo di campagna, massima aspirazione degli antichi al di là delle aspirazioni pubbliche, potrei fare a meno di un titolo, o magari lo prenderei giusto per sfizio senza preoccuparmi di metterlo a frutto prima o poi. Purtroppo non posso, quindi l’alternativa è fare della mia vita una perenne fonte di stress prendendo i rari lavori che potrei trovare e farlo a vita, accorciandola di non poco verosimilmente; o provare a fare quello che mi prediligo.

    Comunque visto che in Italia contano i pezzi di carta, mi sono informato sul fare la maturità classica da privatista (lo so cosa pensi, che è una perdita in ogni caso e probabilmente non sarei all’altezza, ma non m’interessa lo dico già da ora, ho capito come la pensi e non sono d’accordo, fine), se affronterò questo esame e sarò bocciato allora potrai dire, tu e i professori che non sono all’altezza dei miei colleghi, ma se ce la farò possono solo provarci ad organizzare concorsi di dottorato burletta come quelli cui ho assistito in cui si sapeva già da settimane, per non dire mesi, chi sarebbe entrato con la borsa di studio e chi no (ma in tutte le facoltà in cui mi sono informato questo, vera piaga della ricerca italiana, purtroppo avallata da molti, in quanto il “pupillo”, deve pur andare avanti, non si può rischiare che un esterno rompiscatole magari con predilizioni nella ricerca differenti dal barone gli soffi il posto, ecco il sostegno ai giovani ricercatori che devono “accasarsi” eggià!).

    #14587
    imported_Sempronia
    Partecipante

    @Gabriele wrote:

    mi sono informato sul fare la maturità classica da privatista (lo so cosa pensi, che è una perdita in ogni caso e probabilmente non sarei all’altezza, ma non m’interessa lo dico già da ora, ho capito come la pensi e non sono d’accordo, fine)

    Detto con molta franchezza, non hai capito un cazzo di come la penso io.

    #14588
    imported_Atticus
    Partecipante

    @Sempronia wrote:

    Detto con molta franchezza, non hai capito un cazzo di come la penso io.

    Come disse Galileo al Cardinal Bellarmino prima della sua forzata abiura!! 😀

    #14589
    Randall
    Partecipante

    Amen

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