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    Gabriele
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    Questo titolo, secondo me estremamente interessante, fa il verso al Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla terza Roma” del 1982, che aveva questo titolo. Gli atti sono pubblicati e attualmente reperibili nelle biblioteche delle facoltà di lettere.

    In effetti il quirita, passò lentamente ad avere la definizione di romano in quanto cittadino, staccandosi dalla tradizione delle poleis greche che Roma aveva ereditato nelle sue istituzioni, con il mantenimento della cittadinanza ai coloni (almeno nelle colonie di diritto romano, ma anche quelle latine erano strettamente legate alla città madre), cosa che per i greci non avveniva, ed anche altre popolazioni italiche meno evolute lasciavano partire i propri giovani, troncando nettamente i legami con la comunità originaria.
    Non posso trattare nel dettaglio le varie fasi, mi limiterò a quelle più importanti. Durante la repubblica la cittadinanza venne via via estesa a macchia di Leopardo, ma sempre rigorosamente limitata all’Italia, il cui suolo aveva una considerazione legale-religiosa nelle istituzioni romane, indipendentemente da chi occupasse un determinato territorio, o i suoi sentimenti verso la repubblica. Con la guerra sociale abbiamo finalmente la conclusione di questo processo, e il romano, che già da molto tempo all’estero (cioè fuori d’Italia, nelle province come nei paesi stranieri) si confondeva con l’italico privo di cittadinanza, era ora totalmente parificato. Ogni italico era anche un cittadino romano.

    L’identificazione italico=romano, andò avanti per molto durante il principato, sempre grazie a quel concetto sacrale che ancora era sentito per la Terra Italiae, ogni italico non poteva che essere un romano, e ciò è avvalorato da molte opere a carattere poetico come storico, penso ad Anneo Floro, Tacito, o il tardo e greco Erodiano, ecc. Al contrario, un provinciale poteva sì essere romano, ma solo in quanto la sua comunità era stata favorita da Roma, e il legame lo manteneva con essa, estraniandola dal territorio circostante.

    Con Caracalla, cambia tutto. Questa dinastia afro orientale, evidentemente riteneva maturo il tempo per cui ogni abitante dell’impero potesse essere considerato “romano”. Va da se che già da tempo i romani non erano culturalmente che un insieme cosmopolito ed eterogeneo.

    Ma facciamo un grosso salto in avanti per capire quanto stride la differenza tra il concetto di romano medievale, e forse anche moderno, e quello antico, veramente romano.
    Gli imperatori greci di bisanzio, come è noto, si chiamavano basilei dei romani, i turchi stessi assunsero e mantennero fino al 1922, il titolo di cesare di rum, dei romani. Dall’altra parte, gli imperatori germanici, per affermare il loro diritto all’impero universale, aggiungevano appunto questo aggettivo: romano. E anche qui, lo mantennero almeno fino al 1800 quando Napoleone chiuse i conti con il SRI.
    D’altra parte, ancora oggi, la chiesa cattolica e “romana”, appunto vuole essere universale.
    Ancona, alla caduta di Costantinopoli, per affermare il proprio diritto all’impero universale, i duchi di mosca chiamarono la loro città, guarda caso Nova Nova Roma, e si intitolarono cesari.
    Insomma, POVERI ROMANI antichi!

    Nessuno come loro, forse, erano tanto gelosi della loro specificità, che al massimo intendevano condividere con gli altri abitanti d’Italia, della quale essi stessi si sentivano partecipi, e sono finiti, o meglio, il loro nome glorioso è finito, in bocca e sfruttato da tutte quelle potenze che, non solo non hanno nulla a che vedere con la romanità antica, ma anzi che contribuirono a distruggerla! chiesa, barbari, bizantini, ecc. Ma quel che è peggio è che ognuna di queste potenze ha sfruttato il nome romano per esprimere valori diametralmente opposti a quella degli orgogliosi cittadini della repubblica e del principato. I quali, non conquistavano certo perché si ritenevano in diritto di dominare su tutte le genti del mondo, e tanto meno di renderle “romane” con un semplice tratto di penna. Al contrario, i romani, quelli veri, combattevano e conquistavano con stupefacente efficacia solo per mero interesso dello stato, e i sudditi provinciali, liberi di continuare a parlare la loro lingua, usare le loro monete, amministrarsi con le loro leggi, erano tenuti ben lontano dalle istituzioni romane, alle quali dovevano solo il tributum o il vectigal.

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