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    zzzggg
    Partecipante

    Buongiorno,
    sono una laureanda in lettere che stà effettuando un lavoro di traduzione e commentodel Satyricon. Mi permetto di inserirlo, capitolo per capitolo, per fornire spunti utili e, a mia volta, ottenere dei consigli. Nell’ordine troverete: testo, traduzione, commento. Le parti contrassegnate da “?” sono quelle su cui ho maggiori perplessità.

    TESTO
    1 «Num alio genere furiarum declamatores inquietantur, qui declamant: “Haec vulnera pro libertate pubblica excepi, hunc oculus pro vobis impendi: date mihi [ducem], qui me ducat ad liberos meos, nam succisi poplites membra non sustinent”?». [2] haec ipsa tolerabilia essent, si ad eloquentiam ituris viam facerent. Nunc et rerum tumore et sententiarum vanissimo strepitu hoc tantum proficiunt, ut cum in forum venerint, putent se in alium orbem terrarum delatos. [3] et ideo ego adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri, qui nihil ex his quae in usu habemus aut audiunt aut vident, sed piratas cum catenis in litore stantes, sed tyrannos edicta scribentes quibus imperent filiis ut patrum suorum capita praecidant, sed responsa in pestilentiam data ut virgines tres aut plures immolentur, sed mellitos verborum globulosus et omnia dicta factaque quasi papavere et sesamo sparsa.

    TRADUZIONE
    1 «Sono forse i declamatori tormentati da un altro tipo di Furie, quando proclamano a gran voce: “Queste ferite per la libertà dello Stato le ho ricevute, quest’occhio per voi l’ho sacrificato: datemi una guida che mi conduca dai miei figli perchè i ?tendini (delle ginocchia) recisi non sostengono le membra?”?[2] Discorsi di questo genere sarebbero in sé tollerabili, se almeno ?servissero a istradare gli aspiranti oratori sulla via dell’eloquenza/se facilitassero la strada a quelli che vogliono darsi all’oratoria?. Ora come ora, invece, tanto con l’enfasi degli argomenti che con il baccano fraseologico assolutamente privo di significato questo soltanto ottengono, che, al loro ingresso nel foro, si credono trascinati di peso ?in un altro pianeta?. [3] E perciò io penso che questi ragazzetti nelle scuole rimbecilliscano completamente, poiché non vedono ne ascoltano niente di ciò che per noi è ?vita di tutti i giorni?, ma solo pirati che stanno in agguato sulla spiaggia con le catene in mano, e tiranni che vergano editti, con i quali ordinano ai figli di decapitare i propri padri, ed inoltre oracoli emessi in occasione di una pestilenza, che prescrivono di immolare tre o più vergini, ed ancora parole come confetti dolciastri di miele e tutto, espressioni e contenuti, come cosparsi di papavero e sesamo.

    COMMENTO
    La parte del Satyricon a noi giunta inizia con la sezione finale di una discussione tra Encolpio e il retore Agamennone.
    In base ad alcuni riferimenti presenti nel testo è possibile ricostruire le fasi precedenti a questo scontro verbale. E’probabile che Encolpio, insieme al suo amico Ascilto, si trovasse a passare sotto i portici di una scuola di retorica in cui Agamennone stava tenendo una lezione1, e si sia scagliato contro la moda della retorica contemporanea, che prevedeva elaborati involucri di forma vuoti di significato. Agamannone, a questo punto, sarebbe uscito dall’aula per rispondere alle critiche mosse da Encolpio, e all’interno qualcuno avrebbe preso il suo posto con una declamazione improvvisata.
    La questione su cui si dibatte è la decadenza dell’oratoria, un tema letterario molto sentito all’epoca di Petronio.
    Con l’affermarsi del principato, infatti, muore la forma del dibattito pubblico, e l’oratoria, persa la sua funzione politica e giuridica, si rifugia nelle scuole di retorica, distaccandosi dalla realtà.

    1.1
    Num: avverbio che introduce introduce interrogativa indiretta prospettando una risposta negativa. Petronio solo in questo caso (almeno in relazione alla parte superstite del Satyricon) utilizza la particella num in un discorso diretto. Nella lingua d’uso, infatti, num viene a scomparire dinanzi al più corposo numquid. Nel caso specifico si può ipotizzare che questa particella estranea alla lingua d’uso, proprio per le sue particolari connotazioni letterarie, venga scelta da Petronio per sottolineate l’enfaticità dell’ oratoria contemporanea.

    Alio genere furiarum: è probabile che la precisazione alio genere faccia riferimento ad una citazione delle Furie fatta da Encolpio in precedenza. E’ evidente il richiamo alla tragedia, dove se ne è creato il modello letterario per eccellenza, specificamente attraverso il Mito di Oreste, perseguitato dalle Erinni di Clitemnestra, da lui uccisa per vendicare l’assassinio del padre Agamennone.
    L’associazione declamatores-furor è fondamentale all’interno del dibattito sulla decadenza dell’oratoria: il furor, inteso come perdita della realtà a cui si collega l’enfasi tanto nei contenuti quanto nella loro veste formale, dovrebbe essere estraneo ad un genere pratico come l’eloquenza mentre si confà al genere tragico.
    Ritroviamo la singolare associazione declamatori-Furie, inserito in un contesto simile, in Περί ὓψος, trattato di retorica databile al I secolo Anche in questo caso il riferimento alle Eumenidi si configura come una critica all’eloquenza contemporanea.
    Un simile accostamento con finalità critiche lo ritroviamo anche in Seneca P., Contr IX,2,26 . Il senso è che l’allontanamento dalla realtà prodotto all’interno della scuola porta a diventare pazzi, tanto che anche chi appare normale tra gli scolastici, risulta invece pazzo in mezzo a chi non lo è, come sottolinea Seneca P., Contr., I,7,15.

    Clamo: questo verbo serve a rimarcare l’enfasi delle orazioni.

    “haec vulnera..sustinent”: esempio di uno stile declamatorio snaturato nella sua essenza. La controversia è centrata sulla figura di un reduce, del quale l’oratore prende le parti, come se fosse il protagonista di una recita, assimilabile più alla finzione scenica che all’attività forense.

    Succisi poplites: si fa riferimento alla barbara consuetudine dei vincitori di imporre tale barbarie ai vinti per impedirne la fuga (Virg. Aen. 9, 762; Liv. 22,51).

    1.2
    Piratas..tyrannos: non deve stupire l’inserimento di questi due soggetti, che altro non sono che figura tipiche della retorica classica. La prima la ritroviamo , ad esempio, in Quintiliano (V,VI, IX, 257, 373); Seneca (Controv. I, 7; 3,3; 7,4); la seconda, come ci dice W.A. Schmidt, è il soggetto di almeno 21 declamazioni: 12 di Quintiliano, 5 di Seneca e 4 di Calpurnio Flacco.

    1.3
    Globulosus: espressione coniata da Petronio a partire dal termine globulus, che può essere tradotto come polpettina, diminutivo di globus che significa ammasso.

    Papavere et sesamo: sapori forti che, come i discorsi degli oratori contemporanei, coprono la sostanza delle cose, che dovrebbero invece essere di per se piacevoli.

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