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  • #11685
    Oineo
    Partecipante

    Qui ergo nititur dicendo persuadere quod bonum est, nihil illorum trium spernens – ut scilicet doceat, ut delectet, ut flectat – oret atque agat, ut quemadmodum supra diximus, intelligenter, libenter, obedienterque audiatur. Quod cum apte et convenienter facit, non immerito eloquens dici potest, etsi non eum sequatur auditoris assensus. Ad haec enim tria, id est ut doceat, ut delectet, ut flectat, etiam illa tria videtur pertinere voluisse idem ipse Romani auctor eloquii, cum itidem dixit: “Is igitur erit eloquens, qui poterit parva submisse, modica temperate, magna granditer dicere”. In istis autem nostris, quandoquidem omnia, maxime quae de loco superiore populis dicimus, ad hominum salutem, nec temporariam, sed aeternam referre debemus, ubi etiam cavendus est aeternus interitus,
    omnia magna sunt quae dicimus. Et tamen cum doctor iste debeat rerum dictor esse magnarum non semper eas debet granditer dicere, sed submisse cum aliquid docetur, temperate cum aliquid vituperatur sive laudatur. Cum vero aliquid agendum est, et ad eos loquimur, qui hoc agere debent nec tamen volunt, tunc ea quae magna sunt, dicenda sunt granditer et ad flectendos animos congruenter.

    Chi dunque cerca di persuadere con la parola di ciò che è buono, non disprezzando niente di queste tre cose, cioè insegnare, dilettare e distogliere – chieda e faccia in modo di, come abbiamo detto sopra, ascoltare intelligentemente, liberamente e volentieri. E se lo fa in modo opportuno e conveniente, non a torto può essere definito eloquente, sebbene non lo segua l’approvazione dell’auditorio. A queste tre cose infatti, cioè insegnare, dilettare e distogliere, sembra che l’autore stesso dell’eloquio romano abbia voluto ugualmente tendere, quando disse: “Sarà dunque eloquente, colui che sarà in grado di attenuare, con mediocre temperamento, le cose piccole, di dire quelle importanti in modo grandioso.
    In codesti nostri discorsi infatti, poiché tutte quelle cose, che diciamo soprattutto dal pulpito al popolo, dobbiamo riferirle per la salvezza degli uomini non temporanea ma eterna, dove bisogna curarsi anche della morte eterna, tutte queste cose che diciamo sono importanti.
    Dovendo codesto maestro essere dicitore di cose importanti non sempre deve dirle in modo grandioso, ma averle attuate quando si insegna qualcosa, con misura quando qualcosa viene criticato o lodato. Quando bisogna fare qualcosa e parliamo a coloro che devono fare questo e tuttavia non vogliono, allora quelle cose che sono importanti, bisogna dirle in modo grandioso e appropriato per smuovere gli animi.

    Grazie 🙂

    #13960
    Aiace Telamonio
    Partecipante

    @Oineo wrote:

    Qui ergo nititur dicendo persuadere quod bonum est, nihil illorum trium spernens – ut scilicet doceat, ut delectet, ut flectat – oret atque agat, ut quemadmodum supra diximus, intelligenter, libenter, obedienterque audiatur. Quod cum apte et convenienter facit, non immerito eloquens dici potest, etsi non eum sequatur auditoris assensus. Ad haec enim tria, id est ut doceat, ut delectet, ut flectat, etiam illa tria videtur pertinere voluisse idem ipse Romani auctor eloquii, cum itidem dixit: “Is igitur erit eloquens, qui poterit parva submisse, modica temperate, magna granditer dicere”. In istis autem nostris, quandoquidem omnia, maxime quae de loco superiore populis dicimus, ad hominum salutem, nec temporariam, sed aeternam referre debemus, ubi etiam cavendus est aeternus interitus,
    omnia magna sunt quae dicimus. Et tamen cum doctor iste debeat rerum dictor esse magnarum non semper eas debet granditer dicere, sed submisse cum aliquid docetur, temperate cum aliquid vituperatur sive laudatur. Cum vero aliquid agendum est, et ad eos loquimur, qui hoc agere debent nec tamen volunt, tunc ea quae magna sunt, dicenda sunt granditer et ad flectendos animos congruenter.

    Chi dunque cerca di dimostrare con la parola che cosa è il bene, non disprezzando niente di queste tre cose, cioè insegnare, dilettare e persuadere – chieda e faccia in modo, come abbiamo detto sopra, di essere ascoltato intelligentemente, liberamente e volentieri. E se lo fa in modo opportuno e conveniente, non a torto può essere definito buon oratore, anche se non lo accompagni l’approvazione di chi lo ascolta. A queste tre cose infatti, cioè insegnare, dilettare e persuadere, sembra che il fondatore stesso dell’eloquenza romana (Cicerone) abbia voluto ugualmente riferirsi, quando disse: “Sarà dunque un buon oratore, colui che sarà in grado di esporre con pacatezza, argomenti di poca importanza,con moderazione quelle di medio valore, con grande enfasi quelle di rilievo.
    In codesti nostri discorsi infatti, poiché tutte quelle cose, che diciamo soprattutto dal pulpito al popolo, dobbiamo ricondurle alla salvezza degli uomini non temporanea ma eterna, dove bisogna guardarsi anche dalla morte eterna, tutte queste cose che diciamo sono importanti.
    E tuttavia dovendo codesto maestro essere dicitore di cose importanti non sempre deve dirle in modo grandioso, ma con pacatezza quando si insegna qualcosa, con misura quando qualcosa viene criticato o lodato. Quando bisogna fare qualcosa e parliamo a coloro che devono fare questo e tuttavia non vogliono, allora quelle cose che sono importanti, bisogna dirle in modo grandioso e appropriato per smuovere gli animi.

    Grazie 🙂

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